Palazzo Roffia: una dimora filosofale
Un percorso tra arte e simbolismo che ci racconterà lo splendore di un secolo tra ragione e mistero

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Le porte della nobile dimora che la famiglia Roffia fece costruire in Borgo Pinti si aprono in via straordinaria per permetterci di ammirare i saloni affrescati e le sale del Tempio della Gran Loggia d’Italia.
- L’apertura straordinaria di un antico palazzo nobiliare
- L’accesso alle sale del Tempio della Gran Loggia d’Italia
- I simboli e i riferimenti alchemici negli affreschi dei saloni
- I più importanti pittori del barocco fiorentino
- La storia della famiglia Roffia e dei suoi rapporti con il casato dei Medici
Maggiori informazioni
Il nostro percorso prenderà avvio dall’esterno, dove inizieremo a raccontare la storia della famiglia Roffia originaria di un piccolo villaggio nei pressi di San Miniato e che avviò la sua ascesa sociale a partire dal Cinquecento, per rinsaldarla in seguito all’adesione del casato all’Ordine di Santo Stefano.
Ormai desiderosi di essere parte attiva delle vita di corte, decisero di trasformare le antiche case di famiglia in un elegante palazzo nobiliare, affidandone il progetto a Giovan Battista Foggini, scultore capo del Granducato. Fu lui ad inserire nella facciata sobria ed elegante un balcone in ferro battuto, inusuale presenza nei prospetti fiorentini.
Dopo aver attraversato l’ampio androne, saliremo al piano nobile, che già nel secondo dopoguerra divenne la sede delle Officine fiorentine di una delle più note Comunioni Massoniche italiane: la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori. Qui i padroni di casa ci daranno il benvenuto per raccontarci la storia di questa celebre “società di misteri” che a Firenze venne introdotta nel Settecento dalla comunità anglosassone che vi risiedeva, prima loggia massonica in Italia.
Il nostro percorso proseguirà nell’ampio salone centrale, un tempo destinato a feste e ricevimenti, affrescato da Alessandro Gherardini e Rinaldo Botti. Lo spazio reale qui è dilatato dalle architetture illusionistiche alle pareti: un semplice loggiato delimitato da colonne corinzie e pilastri che lascia intravedere suggestivi scorci naturalistici, arricchiti dalla presenza di statue, fontane e rovine.
Muoveremo poi verso la sala dell’Apoteosi, affrescata da Vincenzo Meucci nel 1745. Sul soffitto una complessa allegoria mitologica che si articola lungo due diagonali divergenti racconta l’eterna contrapposizione tra Vizio e Virtù. Messaggio morale che ben si accorda con gli altri simboli presenti nella sala, oggi tempio massonico: dal pavimento a scacchi bianchi e neri alle due colonne che si ergono all’entrata, dalla pietra grezza e lavorata, alla luna e al sole posti sopra il seggio del Venerabile.
Passeremo poi nella Sala di Diana e Apollo, dove il mito di Ettore e Andromeda tratto dall’Iliade è allusione all’amore coniugale, tema che ben si prestava per questi ambienti, in origine appartamenti privati di Antonio Roffia e consorte.
Stupiranno poi per il loro grande impatto visivo la Sala di Diana e la Galleria d’Ercole, opera rispettivamente di Gherardini e di Giovan Domenico Ferretti, in cui, ancora una volta, il mito viene in soccorso per indicare la strada da seguire: solo la pratica costante della Virtù, sebbene difficile da perseguire, può portare alla consapevolezza di sé e all’immortalità.
Allegorie delle virtù, delle scienze, delle arti e ariose scene a carattere mitologico saranno dunque il filo conduttore in un percorso filosofale, ricco di suggestivi significati esoterici legati al mondo dell’alchimia. Gli stucchi e gli affreschi realizzati da più importanti pittori attivi a Firenze tra Seicento e Settecento ci racconteranno di una committenza ricca e raffinata, desiderosa di tramandare ai posteri l’invito a condurre una vita dedita alla coltivazione dello spirito e dell’intelletto e libera dai condizionamenti delle passioni smodate.
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